venerdì 5 febbraio 2021

Dal testo de' “L'amico” (1981) al Kyrie Eleison (2020) passando per la iconografia cristiana copta ed il poeta svedese Lagerkvist

 Buongiorno amici


Le canzoni di #LuisaZappa e #AngeloBranduardi spesso hanno stimolato belle ed interessanti discussioni riguardanti il significato dei testi.

Branduardi, nelle sue interviste, di frequente ci dice di voler lasciare libero l'ascoltatore di tirar fuori dalle sue canzoni ciò che più gli piace, e spesso capita che il messaggio che intende comunicare l'autore si ritrovi rinnovato nelle interpretazioni della gente.

E così.. oggi condivido con voi una #interpretazione particolare condivisa, non a caso, con il nostro amico Leonardo (storico dell'arte) che, però, mi ha fatta partire per la tangente, dandomi l'opportunità di approfondire l'argomento (forse divagando un po' troppo :-D), tanto da intraprendere un percorso che mi ha portata dal 1981 sino al 2020 e al recente brano “Kyrie Eleison”

Ogni riflessione, suggerimento o vostra differente lettura è ben accetta.. anzi 😊

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In questi anni ci siamo spesso interrogati su chi fosse “L'Amico” narrato nella canzone di Angelo Branduardi contenuta nell'album “Branduardi '81”.

Tante interpretazioni, che rispecchiano il proprio sentire e quindi tutte validissime, hanno portato a identificare “L'Amico” nell'Amore che improvvisamente arriva, nella Mortenella parte più autentica di noi stessi senza filtri e costrizioni, in Dio o più semplicemente in un amico che ritorna da lontano e che, senza rancori, ci perdona per averlo dimenticato.

Una delle interpretazioni di questo testo prende spunto dall'icona raffigurata qui nell'immagine, intitolata “Il Cristo e l'abate Mena”, custodita presso il Museo del Louvre di Parigi.


Questa icona, risalente alla cultura cristiana copta (cioè egiziana) del VII secolo, ritrae il Cristo in compagnia di San Mena (abate del Monastero di Alessandria d'Egitto) e, nel linguaggio divulgativo, è conosciuta come “l'icona dell'Amicizia”.

A livello iconografico nei primi secoli della Cristianità l'immagine del Cristo spesso appariva accanto ad altre figure, presentandosi loro come “L'Amico”.

Questa raffigurazione, che poi progressivamente un po' scompare a causa della vicinanza molto fisica tra il Cristo e il fedele, può essere vista come l'immagine perfettamente raccontata ne “L'Amico” di Branduardi.

L'Amico, nel testo di quest'ultimo, diventa, dunque, una figura Cristologica mentre nell'altro personaggio, e nel caso raffigurato, Mena, possiamo riconoscere ciascuno di noi.

Gesù, in questo dipinto, appoggia la mano destra sulla spalla dell'amico, prendendo su di sé tutto il peso, gli errori, e tutto il carico che pesa sull'altro. La spalla è, infatti, il luogo delle nostre fatiche: lì i pellegrini appoggiano la sacca, i carichi più pesanti. E' la parte del corpo che rimane indebolita e porta le ferite; e quella mano, appoggiata, diventa così la mano del medico che sana, guarisce, consola, conforta.

Gesù ha due occhi molto grandi e aperti che esprimono la presenza viva e attenta di Cristo.

E quel leggero strabismo di entrambi permette a Gesù di tenere d'occhio la persona al suo fianco, ma è soprattutto quest'ultima a tenere d'occhio Gesù mentre guarda avanti sul cammino della vita.

Tutto questo può rivedersi nel testo di Branduardi.

L'amico, dimenticato e non atteso, ma che in realtà non ci ha mai abbandonato, facendosi spazio tra la “confusione” della nostra vita torna al nostro fianco; e lo fa in silenzio, in modo autentico, “senza maschera” e “con occhi chiari”, sinceri, alleggerendo il nostro carico quotidiano, riportando colore nella nostra vita e ridonandoci il sorriso

"Son l'amico che hai dimenticato
Stasera io verrò
Son I'amico che tu non hai invitato
Ma stasera ci sarò

Attraversando il tuo giardino
Inosservato, guarderò
Sarà il mio mondo colorato
Che in regalo porterò
Alla tua porta poi busserò

(...)

In mezzo a tanta confusione
Senza maschera verrò
Sorriderai scoprendomi
Ma in silenzio resterò
Con occhi chiari ti guarderò

Son l'amico che hai dimenticato
Stasera io verrò
Per l'amico che tu non hai invitato
La festa si farà"

Ampliando il discorso, ci si potrebbe chiedere: “cosa succede quando non riusciamo a sperimentare, a percepire l'Amico che sta al nostro fianco”?

A questo proposito, mi vengono in mente le parole del poeta L. Lagerkvist (n. 1891- m. 1974):

“Uno sconosciuto è il mio amico, uno che io non conosco”

Questo inizio così fulminante della sua poesia intitolata “Uno sconosciuto è il mio amico”, ci vuole dire che l'amicizia e l'affetto delle persone che ci vogliono bene e che ci sostengono ogni giorno non riescono a colmare quella inspiegabile sensazione di vuoto che ci portiamo dentro (“...e l'amore non basta a lenire il dolore”...potremmo dire usando le parole di Branduardi nella canzone “Kyrie Eleison”)

In realtà questo vuoto che sentiamo e che cerchiamo in tutti i modi di colmare, ci dice Lagerkvist, non può essere completato dalle persone a noi care: il nostro essere umani è, difatti, segnato dalla consapevolezza di questa lacerante ferita, da questa percezione di assenza che allo stesso tempo si manifesta come “presenza” misteriosa.


«Uno sconosciuto è il mio amico, uno che io non conosco.
Uno sconosciuto lontano lontano.
Per lui il mio cuore è colmo di nostalgia.
Perché egli non è presso di me.
Perché egli forse non esiste affatto?
Chi sei tu che colmi il mio cuore della tua assenza?
Che colmi tutta la terra della tua assenza?».


Nelle poesie di Lagerkvist emerge spesso l'inquietudine ed il bisogno di evadere dalla finitezza della vita, a testimonianza del desiderio dell'infinita ricerca di “Qualcuno” a cui affidarsi, in cui credere.

Egli si definiva, infatti, “un credente senza fede, un ateo religioso”: questa poesia si trasforma, così, in una preghiera al Dio ignoto.

“Egli è «lontano lontano», trascendente, impenetrabile, arcano. Eppure ne avverti sorprendentemente il palpito e soprattutto ne senti con ansia la mancanza, ne attendi l'irruzione.

È, questa, un'esperienza ben più diffusa di quanto si creda, tra credenti e agnostici.

Sì, perché anche chi crede vive momenti in cui Dio è assente e muto, remoto in un cielo a noi precluso.

Lagerkvist sa che quell'assenza che inonda il cuore e il mondo è già una presenza che scuote, che fa vibrare e che permette di sperare in una rivelazione, in un abbraccio”.

Come già accennato, non si può non pensare anche al testo dell'ultima canzone di Branduardi “Kyrie Eleison”: come dichiarato dallo stesso cantautore, e senza voler forzare una diversa interpretazione, nel periodo più buio di questa pandemia si è trovato a fare i conti con la “lacerante percezione dell’abbandono, del silenzio di Dio e di una pesante umana sconfitta”.

Branduardi, quindi, ha ben presente chi sia questo “amico sconosciuto” a cui chiedere aiuto e misericordia, e nel cammino tortuoso del suo animo ha voluto unirsi al grido del genere umano con l'invocazione del “Kyrie Eleison - Signore abbi pietà”.

“L'amore umano, benchè altissimo – dice Branduardi – ha un evidente limite. Non ci basta mai, ha una sua insanabile incompletezza. È potentemente consolatorio, ma chiede che si protenda verso l’alto, verso l’oltre”.

“E questo lume non basta
per riportarti la luce

E tutto il pane non basta
per saziare la fame

E tutta l’acqua non basta
per calmare la sete

Tutto il fuoco non basta
per scaldarti le mani

E l’amore non basta
per lenire il dolore”


Questo “atto di dolore” dell'Artista, forse anche rafforzato dal suo pubblico che ha, invece, inteso questa canzone come profondamente consolatoria, lo ha portato, come da lui detto, ad “una nuova Resurrezione”, trasformando il suo “senso di abbandono” in un “inaspettato atto di speranza”.

Concludendo.. chissà: forse questo “Amico” narrato nel 1981 che ritorna è lo stesso che oggi, afflitti dalla pandemia e dall'incertezza del domani, abbiamo dimenticato, smarrito, che non riusciamo più a vedere, ma che non aspetta altro che potersi nuovamente rivelare, ridonandoci il sorriso, il mondo a colori e la serenità perduta.

Laura Gangemi

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